— Paolo Baldacci —
L’opera d’arte è un’interpretazione del mondo e nello stesso tempo un progetto per il suo futuro. L’artista, più che un intellettuale che fa uso della ragione e della logica, è quindi un veggente che pratica una forma di conoscenza diversa da quella dello storico o dello scienziato.
L’arte è l’unica cosa che sopravvive in un mondo che muore o è morto da secoli. Muoiono le persone, muoiono i rapporti, le economie e le ricchezze, gli usi e i costumi, le idee e le religioni, ma l’opera d’arte non muore e noi vediamo l’antichità greca con gli occhi di Omero o di Fidia, lo spirito del Medioevo e del Rinascimento con quelli di Dante di Giotto o di Raffaello, e così via.
L’arte si trasforma perché il mondo cambia, e quando sono nati i mezzi tecnici per catturare e trasmettere le immagini è nata anche l’arte moderna, affrancata dall’obbligo di “riprodurre” e quindi libera di “produrre”, cioè di “creare”, secondo l’etimo della parola poesia, dal greco poièin (“fare dal nulla”, contrapposto a pràssein che indica un’attività concreta).
Da quel momento l’arte ha cessato di essere solo interpretazione del mondo e dello spirito di un’ epoca ed è diventata anche ”progetto”, cioè intuizione e creazione di un universo di forme e di linguaggi parallelo e analogo a quello della natura di cui l’uomo fa parte.
Capire l’arte moderna e contemporanea non significa “capire” in senso logico, ossia afferrare o spiegare significati, ma intuire percorsi, analogie e ritmi ancora non evidenti. E’ come saper ballare entrando in sintonia col flusso vitale della musica. Perché l’arte è una mimesi della vita prodotta da quell’ eterna fonte di creazione spirituale che è l’uomo.